venerdì 6 marzo 2009

I SARDI E IL MARE daalla preistoria al presente

F. Bruno Vacca

I S A R D I
E


I L M A R E


dalla preistoria al presente
272 pagine corredate da illusttazioni a colori







Capitolo I


Le Attitudini Marinare della Sardegna
Capitolo II
La Repulsione per il Mare dei Sardi -
Capitolo III
La Preitoeia
Capitolo IV
Gli Antichi Sardi
Capitolo V
L’Antica Marineria dei Sardi
Capitolo VI
Il Declino
Capitolo vIl
Dominio Punico -
Csp itolo VII
Periodo Romano
Capitolo VIII
Il Ritorno dei Sardi al Mare
Capitolo IX
L’Invasione Saracena
Capitolo X
La Grande Decadenza del Basso Medioevo-
Capitolo XI
Periodo Ispano -Aragonese-
Capitolo XIII
l Degrado Del Periodo Sabaudo
Capitolo XIII
Il Mancato Sviluppo dell’800'-
Capitolo XIV
La Vita Costiera Sarda nel XX secolo-
Capitolo XV
Conclusioni Storiche




Capitolo I


La Sardegna è una delle terre italiane
mediterranee in cui la geografia ha più duramente e direttamente inciso negli eventi della storia; ad iniziare quel primissimo elemento della realtà della Sardegna che è la sua insularità........
Dall’insularità dipende in larga parte, non tanto il suo isolamento, quanto il modo in cui gli influssi della civiltà esterna hanno variamente operato sui diversi territori dell’isola..........
Con queste parole lo scrittore M. Brigaglia, nella sua presentazione della traduzione dal francese all’italiano dell’opera "Patres et paysans de la Sardaigne" del Le Lannou, ribadisce il giudizio secondo cui lo sviluppo sociale economico e culturale della Sardegna, è stato ed è ancora penalizzato dai suoi caratteri geografici fondamentali, e fra questi, primo fra tutti, dalla sua insularità.
Ribadisce, cioè, un giudizio che tutte le massime autorità culturali hanno sempre sostenuto, sia nel secolo scorso, quando l’indagine culturale muoveva in Sardegna i suoi primi passi, sia nel presente, cioè dopo quasi due secoli di studi sugli aspetti fondamentali che hanno caratterizzato la vita isolana nei suoi diversi tempi storici.
Infatti, nella seconda metà dell’800 Alberto La Marmora nel suo volume Ragionamento sulle questioni marittime spettanti all’isola di Sardegna (Ediz.Timon - Cagliari 1849) affermava categoricamente:
La maggiore sventura di un’Isola assai discosta dal Continente sta nell’isolamento in cui la mise la natura.
Dopo oltre un secolo, nel libro La Società in Sardegna nei Secoli (Ediz. ERI - Torino 1967), tanto per citare un esempio contemporaneo, G.Lilliu che è considerato una delle più importanti autorità della cultura isolana contemporanea, scrive testualmente:
........ma poi la stretta insulare e di più ancora quella culturale, posero i Sardi in un camino solitario che fu perseguito con tenacia patetica, con risultati inadeguati ed inferiori a quelli di civiltà di regioni più provvedute ed avanzate storicamente.
In definitiva, secondo questo giudizio, l’insularità, specie nel passato, avrebbe determinato uno stato quasi perenne d’isolamento della Sardegna e quindi una conseguente emarginazione di questa terra e del suo popolo dal contesto evolutivo, non solo europeo, ma anche mediterraneo.
Scrive infatti A. Mattone nel suo breve saggio: La Sardegna ed il Mare (Quaderni di Storia Sarda N°1 (Ediz. La Torre):
Il mare quindi che per la maggior parte dei popoli mediterranei è stato veicolo di Civiltà e di scambi, ha avvolto la Sardegna separandola, spesso, dal resto del mondo: L’isolamento in mezzo alle acque, la cintura liquida del mare hanno ostacolato e ritardato contatti continui e fecondi con altri popoli ed altre culture, facendo della Sardegna un’isolata particella di globo, il frammento di un vecchio esteso continente alla deriva .
Questo giudizio, anche se è diventato un luogo molto comune che tutti, non solo all’interno ma anche all’esterno della Sardegna, condividono pienamente per la rinomata autorità che ai suoi sostenitori, è stata elargita nel settore della cultura isolana, risulta, tuttavia, alla luce di una verifica razionale, più che sconcertante.
Infatti, sottoponendolo ad una verifica attuata, non con giochi di parole, intrisi di retorica e retti da quei falsi assiomi storici e culturali su cui è stata impostata ogni ricerca del passato dei Sardi, ma mediante metodologia scientifica che parta, in primo luogo dall’analisi e dalla valutazione obiettiva di tutti i dati storici disponibili sul tema in questione, tale giudizio risulta, a dire poco, oltre che del tutto infondato, anche puerilmente sciocco; ciò perchè il suo contenuto essenziale è in chiara contraddizione con numerosi aspetti fondamentali della storia del Popolo Sardo come quella dell’intera Umanità.
Iniziando questa verifica bisogna innanzitutto osservare che le uguaglianze transitive insularità = isolamento = sottosviluppo, che sono implicite nel giudizio in questione, risultano antistoriche e quindi prive di qualsiasi validità.
La storia del genere umano, infatti, comprova ampiamente che proprio il fattore insularità in numerosi casi ha favorito o ha addirittura determinato in aree geografiche meno favorite della Sardegna, sia per posizione geografica che per habitat naturale, il sorgere e lo sviluppo di grandi ed importanti civiltà che possono essere considerate, in un modo o nell’altro, radici fondamentali del progresso civile umano.
Quest’affermazione appare convalidata dalle civiltà che, nel lontano passato protostorico del Mediterraneo, contrassegnarono le isole di Malta, di Cipro, di Santorino e in particolare quella di Creta.
Creta, infatti, è un’isola stretta ed allungata del Mediterraneo Orientale, ubicata a sud del mare Egeo, al largo delle coste del Peloponneso dalle quali dista circa 60 miglia marine (circa 100 km.).
La sua estensione è di appena 8258 kmq., pari cioè a circa un terzo di quella della Sardegna ed il suo territorio è costituito prevalentemente da rocce metamorfiche del mesozoico, ricoperte da calcari e da qualche fase alluvionale.
Questo territorio risulta sostanzialmente povero e montagnoso poichè è dominato, in tutta la sua lunghezza, dai cinque alti e massicci rilievi di Leuka (2700 m.), di Ida (2456 m.), dei Kophinos (1232 m.), del Dikte (2148 m.) e dei Sitìa (1475 m.) che risultano collegati fra loro da groppe collinari.
Esso risulta quindi occupato per il 45 % da questi alti massicci e per un altro 45% da aree che si trovano ad una quota di circa 400 m. sul livello del mare; conseguentemente soltanto il 10 % di quest’isola si trova a quote inferiori a 100 m. sul livello del mare.
Le aree pianeggianti di Creta sono, pertanto, poche e con estensione abbastanza limitata; si trovano prevalentemente disseminate lungo il contorno delle coste e, specie nella zona meridionale dell’Isola, sono poco accessibili dal mare perchè, anche se frastagliate da varie baie e golfi, risultano abbastanza alte e spesso a picco sul mare.
Nel versante costiero meridionale l’unico valido accesso dal mare è la Baia di Mesarà; questa infatti, nel suo lato orientale, presenta, solcata da due fiumi (Yeropòtamos ed Anapodhàris), una pianura, detta appunto Piana di Mesarà, la quale malgrado la sua limitata estensione è comunque la più grande dell’isola.
Le coste settentrionali di Creta, anche se risultano anch’esse alte ed irregolari sono più accessibili dal mare di quelle meridionali perchè sono contrassegnate da varie minute piane alluvionali.
Quest’isola ha, inoltre, un indice annuo di piovosità molto modesto che varia dai 711 mm. delle coste nord-orientali, in quelle meridionali ad appena 203 mm. .
Molto modeste sono anche le sue risorse naturali; infatti solo il 2% della sua superficie è ricoperto da boschi e scarse sono anche le sue possibilità minerarie poichè, anche se vi sono presenti tracce di ferro, manganese, zinco, rame, e piombo, le sole attività estrattive che hanno una certa utilità economica sono quelle della lignite e del talco.
Le uniche risorse naturali che Creta può fornire all’economia della sua popolazione sono l’agricoltura, la pastorizia e la pesca, che hanno comunque tutte una produttività condizionata negativamente dalle caratteristiche morfologiche dell’habitat naturale e quindi non dimensionate alle vitali necessità locali; tanto è vero che la popolazione cretese deve importare circa un buon 25% del suo fabbisogno alimentare .
Infatti, i suoi principali prodotti agricoli sono cedri, olive, carrube, mandorle, uva, patate e fagioli; quelli zootecnici comprendono, oltre che pecore, capre e maiali, anche un certo numero di bovini.
In un lontano passato, Creta era quasi interamente ricoperta da folti boschi di cipressi, tuttavia le sue risorse naturali non dovevano essere molto dissimili da quelle attuali e pertanto, relativamente all’estensione del suo intero territorio, sono state sempre, in proporzione, di gran lunga inferiori a quelle che la Sardegna ha posseduto in ogni tempo.
Tuttavia, malgrado la sua insularità e tutti gli altri suoi naturali condizionamenti, Creta, già dalla fine del IV millennio a.C. sino all’esordio del I millennio a.C., fu la dominatrice politica, economica e culturale, non solo di tutto il Mediterraneo orientale ma anche di larga parte di quello occidentale; essa è stata infatti il teatro principale prima della Civiltà Minoica e poi di quella Micenea che costituiscono le basi di partenza della Civiltà Ellenica e quindi della stessa civiltà classica la quale, a sua volta, costituisce la base culturale su cui e imperniata la stessa civiltà occidentale moderna.
Che l’insularità abbia favorito il progresso politico, civile economico e culturale di molti popoli, sia in Occidente che in Oriente, non soltanto in tempi remoti della storia umana, ma anche in tempi molto più recenti, è più che assodato; i casi che si potrebbero citare sono abbastanza numerosi; ma poichè ci farebbero dilungare troppo in un argomento che è secondario rispetto al tema che intende trattare questa pubblicazione, ci limitiamo a menzionare quelli che hanno rivestito un ruolo primario nella storia dell’Occidente e dell’Oriente moderni; ossia rispettivamente quello dell’Inghilterra, quello del Giappone e quello di Tay Wan.
Per quanto riguarda l’Occidente, è infatti ampiamente comprovato che il primato marittimo militare e commerciale detenuto dall’Inghilterra nel mondo, dal XVI sec. sino ai primi decenni del presente secolo e l’egemonia politica ed economica da esso derivata, vennero in gran parte favorite dalla sua insularità.
Conseguentemente ciò ha anche favorito la rivoluzione industriale inglese prima e quella europea poi che è il principale pilastro portante della civiltà moderna contemporanea.
Un esempio di uguale importanza in Oriente è quello del Giappone, il quale, proprio grazie al carattere insulare del suo territorio, anche se questo risulta povero di materie prime e di altre ricchezze naturali, dopo essere stato a lungo una grande potenza militare sino al secondo conflitto mondiale, svolge ora un ruolo primario fra le potenze industriali non solo in Oriente ma anche nell’intero pianeta.
D’altronde che la tesi secondo cui l’insularità abbia determinato l’ isolamento sia stata tutt’altro che valida, almeno per quanto riguarda la storia della Sardegna, appare più che evidente analizzando il lungo elenco dei popoli stranieri che, dal suo più lontano passato sino al presente, hanno avuto rapporti economici, culturali, militari e coloniali con questa terra.
Questo, infatti, include Egizi, Egei, Libici, Fenici, Greci, Etruschi, Cartaginesi, Mauritani, Romani, Ebrei, Vandali, Goti, Bizantini, Arabi, Franchi, Pisani, Genovesi, Catalani, Maiorchini, Spagnoli, Berberi, Francesi, Austriaci, Piemontesi ed Italiani ecc., i quali tutti insieme ci fanno capire quanto ben poco sia rimasta isolata la Sardegna dal mondo esterno, per tutto il corso della sua travagliata storia.
D’altro canto, questo presunto isolamento storico della Sardegna, tanto caro a quasi tutti gli esponenti contemporanei della cultura isolana, risulta ulteriormente confutato dal fatto che la Sardegna, sia nel presente come in un lontano passato, è sempre stata ben lungi dal presentare un’omogeneità etnica.
Infatti, già in epoca nuragica, come rivela l’analisi dell’aspetto fisico dei personaggi raffigurati nei numerosi bronzetti votivi di quel periodo, non solo l’Isola era abitata da due grossi gruppi etnici distinti, quali i discendenti della cultura cuprolitica di S.Michele di Ozieri ed i Sardi che vi erano giunti da occidente, ma vi erano anche presenti vari personaggi provenienti da lontane contrade mediterranee asiatiche ed africane.
Parimenti nel presente, come in un passato molto meno remoto dell’epoca nuragica, le popolazioni delle diverse aree storiche e geografiche dell’Isola, quali Sulcitani, Campidanesi, Barbaricini, Ogliastrini, Logudoresi e Galluresi, anche se risultano caratterizzate da una certa omogeneità o affinità culturale, perché parlano dialetti di una stessa lingua e perchè hanno in comune lo stesso patrimonio di usanze e tradizioni, si differenziano generalmente le une dalle altre per aspetto e caratteristiche antropomorfe generali; cosi ad esempio, in genere, i Campidanesi sono più bassi e più bruni dei Barbaricini e dei Logudoresi e fra questi gli individui alti e biondi, di carnagione molto chiara, con gli occhi azzurri o verdi sono tutt’altro che rari.
Tutto ciò, pertanto, può solo significare che in epoche storiche remote o in quelle meno lontane dai giorni nostri, la Sardegna è stata spesso luogo d’incontro e di incroci dei Sardi con altre etnie; conseguentemente questa terra é stata sempre ben lungi dall’essere appartata dal mondo esterno a causa della sua insularità.
Un’ulteriore prova dell’apertura storica della Sardegna e che, quindi, l’insularità non le abbia mai impedito le sue comunicazioni col mondo esterno, ci è data dal fatto che sin dalla più lontana preistoria, prodotti e manufatti stranieri sono stati importati in quest’isola, così come prodotti e manufatti sardi sono stati esportati in terre straniere; ad esempio in alcuni villaggi neolitici della Germania meridionale, risalenti ad un periodo compreso fra il 4.000 ed il 3.000 a.C., sono stati ritrovati vari utensili e punte di frecce prodotte con ossidiana prelevata in Sardegna dal Monte Arci.
Si deve quindi desumere che molti personaggi che sono stati elevati al rango di vere e proprie indiscusse autorità della cultura isolana, nel passato come nel presente, possono avere sostenuto scioccamente un giudizio tanto errato o perchè la loro autorità era tutto un bluff giacché non erano in grado di valutare ciò che dicevano oppure perchè, molto più probabilmente, per tornaconto personale, infischiandosene della scienza e delle sue verità, ripetevano ciò che veniva messo loro in bocca dal potere politico coloniale.
E’ infatti dimostrabile storicamente che ad addurre questo presunto isolamento storico è stato prima il potere politico piemontese, seguito poi da quello italiano, al fine di mascherare la vera causa del grave stato di degradazione economica, sociale e culturale in cui la Sardegna è stata tenuta dagli inizi del XVIII sec. in poi; stato di degradazione che nella vita isolana è stato invece, a tutti gli effetti, determinato proprio dai pesanti condizionamenti, ed in particolare da un plagio politico culturale, che il colonialismo piemontese prima e quello italiano poi, con una continuità storica che dura ancora nei tempi nostri, hanno imposto ai Sardi al fine di poterli asservire impunemente nello sfruttamento della loro terra.
Un’altra importante causa di questo giudizio può essere individuata nel fatto che i suoi sostenitori appaiono, per lo più, dotati di una formazione culturale in cui la carenza di una razionale critica analitica e scientifica viene ammantata con una spessa coltre di vuota prosopopea letteraria, solitamente costituita da vuoti giochi verbali apparentemente eruditi, ma sostanzialmente privi di significato, che possono incantare ed ingannare solo gli sprovveduti.
Tutti costoro, infatti, rivelano chiaramente, a parte la loro errata visione delle reali possibilità della Sardegna e della reale storia del suo popolo, di non avere capito i più elementari meccanismi che hanno regolato la storia dell’Umanità, come ad esempio il fatto che, sino a quando non è stata inventata la macchina a vapore, e quindi dalla più lontana preistoria sino all’alba dell’era moderna, la maggior parte dei contatti, fra i popoli in ogni parte della terra, sono avvenuti attraverso il mare.
Infatti, anticamente, viaggiando via mare, era possibile, meglio che viaggiando via terra percorrere grandi distanze trasportando grandi carichi con minore fatica, tanto ingenti che per essere trasportati via terra; a parte le maggiori difficoltà, infatti anticamente il trasporto via terra di grandi quantitativi di merci richiedeva, oltre che tempi più lunghi, anche maggiori mezzi, maggiore fatica e maggiori pericoli e difficoltà.
Ad esempio, nell’antichità il trasferimento terrestre di mille sacchi di grano dalla Calabia alla Liguria avrebbe richiesto non meno di cento carri a trazione animale e quindi cento carrettieri che potevano viaggiare solo di giorno perchè dovevano necessariamente bivaccare di notte per fare riposare gli animali.
Inoltre il viaggio era spesso ulteriormente rallentato dalle numerose difficoltà che presentava il tragitto come il dover sottostare alle intemperie, affrontare guadi pericolosi e percorrere strade dissestate e fangose.
A tutti questi inconvenienti c’era da aggiungere il costo dei vari pedaggi e il grande pericolo di essere depredati e uccisi dalle numerose bande di razziatori che imperversavano dappertutto.
Anche se vi era l’eventuale pericolo di qualche tempesta e di qualche pirata, viaggiare e trasportare merci per mare era molto più facile perchè, per tornare all’esempio, i mille sacchi di grano potevano essere trasferiti, al riparo dalle intemperie da una sola nave, dotata di un equipaggio di alcune decine di uomini, che. specie se trovava i venti favorevoli, poteva viaggiare con maggiore tranquillità e celerità notte e giorno senza pagare pedaggi lungo il tragitto.
A parte l’esempio citato, la validità della precedente affermazione appare rimarcata dal fatto che nella stessa Sardegna nel passato, prima dell’avvento della motorizzazione su strada, il Sarrabus e l’Ogliastra rifornivano la città di Cagliari dei loro prodotti ortofrutticoli inviandoli via mare con dei grossi barconi a vela.
In conclusione è, pertanto, più che lecito asserire,che il mare, quale fattore essenziale della stessa insularità, per se stesso, non è mai stato la causa fondamentale dello stato di appartaid storico di alcun popolo.
Comunque, quasi a voler appianare la contraddizione che il giudizio in questione presenta con la realtà storica isolana, vari studiosi stranieri che lo hanno accolto senza alcun criterio di verifica, fra cui si potrebbero citare i geografi francesi Le Lannou e Branduel, hanno asserito che l’emarginazione di quest’isola dal progresso storico della Civiltà Mediterranea è stata causata, oltre che dall’insularità, dalla conformazione troppo accidentata del suo disegno litoraneo; questa, infatti, secondo loro, la renderebbe poco accessibile ai naviganti e conseguentemente l’isola avrebbe attitudini marittime molto scarse.
Anche quest’asserzione, semplicemente perchè era stata espressa da studiosi stranieri, è stata accolta da tutti senza le più elementari verifiche.
Così, ad esempio, A. Mattone, sempre nel suo saggio La Sardegna ed il Mare scrive testualmente:
Le coste della Sardegna, per quanto lunghe, sono ben diverse dai tranquilli litorali e dai facili approdi della penisola: rocciose, inospitali, si aprono spesso in archi sabbiosi, con dune e stagni palustri, o si racchiudono in barriere montuose, con pochi porti naturali .............
La mediocrità del paesaggio costiero ha pesato negativamente, di fatto impedendolo, sullo sviluppo di una vita marittima locale ed ha accentuato l’isolamento, lasciando fuori dai suoi approdi i "popoli del mare" ed alcune delle grandi correnti di scambi del mondo moderno.
Giudizi come questo, anche se implicano automaticamente l’assenza di una conoscenza delle reali condizioni geografiche sia delle coste sarde, sia di quelle della penisola italiana, sono sempre stati accolti acriticamente, forse perchè, lo stesso potere politico che programma le sorti dei Sardi, ha fatto sempre in modo che essi fossero tanto pubblicizzati, per cui la tesi da essi sostenuta è diventata attualmente un vero e proprio dogma scientifico; tant’è vero che tale tesi viene affermata addirittura nell’Università di Cagliari da docenti imbevuti di conoscenze geografiche teoriche i quali, probabilmente, non si sono mai presi la briga, non solo di farsi un giro in barca intorno alle coste della Sardegna, ma nemmeno di interpellare esperti operatori del mare che avevano navigato, oltre che nelle acque dell’Isola, in quelle di tutte le coste del mondo, per appurare se esso corrisponda o no a verità.
E’, infatti, facilmente appurabile che anche l’asserzione del Lannou o del Mattone, a parte la valutazione ben poco veritiera sulle coste sarde in essa contenuta, risulta ben poco attendibile, poichè regioni marittime del Mediterraneo ed anche dell’oceano Atlantico o Pacifico, che sono ben più pericolosi per correnti, mareggiate e tempeste, anche se presentano conformazioni costiere molto più accidentate di quelle della Sardegna, sono state e sono ancora teatro di intense e feconde attività marinare.
Anaalogamente nel Mediterraneo, a parte il caso di Creta prima analizzato, la Liguria anche se è la più importante regione marittima della penisola italiana, con il suo territorio prevalentemente montuoso, separato dalla Francia dalle Alpi Liguri e dal resto dell’Italia dal rilievo appenninico, e con pochi stretti lembi pianeggianti solo lungo alcuni tratti del suo contorno marittimo, non di certo presenta una situazione ideale per le attività marinare.
La piena validità di quest’asserzione è chiaramente evidente se si considera che anche la sua conformazione costiera è molto meno estesa ed avvantaggiata di quella della Sardegna.
Infatti, la Riviera Ligure nella sua estensione di appena 200 km, si presenta in larghissima parte conformata da alte rocce che cadono a picco sul mare e, pertanto, per la maggior parte della sua estensione è in prevalenza inaccessibile o non facilmente accessibile dal mare.
Ciò appare ancora più evidente considerando che mentre dei tre principali porti della Liguria, quali Genova, Savona e La Spezia, solo quest’ultimo è un porto naturale, in Sardegna sono naturali, non solo i suoi porti principali quali quelli di Cagliari, Olbia e Porto Torres, ma anche altri porti secondari come ad esempio quelli di Alghero, di Bosa e di Arbatax.
Tuttavia per quanto è risaputo storicamente, già nei primi secoli dell’alto medioevo, le popolazioni delle coste liguri esordirono con una crescente attività commerciale marittima che fu la base di partenza della stessa potenza marinara che Genova esercitò nel Mediterraneo per molti secoli successivi.
Parimenti nell’Atlantico regioni come la Bretagna, l’Irlanda, la Cornovaglia, la Scozia, l’Islanda e la Groenlandia la cui economia, nel passato come nel presente, appare per larga parte sostenuta da varie ed intense attività marinare di ogni genere, non di certo posseggono coste che, per coloro che operano sul mare, sono più agevoli e meno pericolose di quelle sarde almeno per il fatto che, a parte, le più intense e durature avversità metereologiche proprie del nord-Europa atlantico, le relative carte nautiche segnalano difficoltà e pericoli di ogni sorta e di ordine ben superiore a quelli che solitamente presentano le coste ed i mari della Sardegna.
D’altronde se la tesi in questione fosse realmente valida, cioè se realmente le coste sarde fossero tanto accidentate da presentare realmente scarse attitudini marinare, tutti coloro che la condividono hanno il preciso dovere di chiarire perchè esse in tutte le epoche storiche hanno sempre richiamato le attività di numerosi operatori del mare dalle più svariate e lontane contrade del Mediterraneo; essi devono anche chiarire perché queste stesse coste, ancora oggi, risultano teatro non solo dell’attività dei motopescherecci liguri, toscani, campani e siciliani, ma anche di un intenso traffico nautico di ogni genere di imbarcazioni da diporto.
Risulta invece reale e quindi valida una proposizione opposta a quella del Le Lannou, poichè l’analisi obbiettiva dei caratteri geografici ed ambientali della Sardegna e delle aree marine che la circondano pone invece in evidenza l’esistenza di numerose prerogative naturali le quali inconfutabilmente rendono quest’isola un luogo di facile vocazione marinara; una terra cioè, dove tutti i diversi tipi di attività marinare, da quelle più semplici ed antiche a quelle più moderne e tecnicamente avanzate potrebbero essere svolte con maggiori facilitazioni che in altre terre bagnate dal Mediterraneo.
Così, ad esempio, se paragoniamo la Sardegna con la Sicilia, anche se questa registra, oltre che una popolazione molto più numerosa ed una produttività economica più elevata, ben più intense attività marinare di quelle sarde, appare subito evidente che la Sardegna ha rispetto ad essa maggiori possibilità naturali e prerogative di vario tipo che le permetterebbero di svolgere delle attività marinare ben superiori, non solo numericamente, ma anche qualitativamente, a quelle siciliane o a quelle di qualsiasi altra regione italiana.
Infatti, la Sardegna con i suoi 24.089 Kmq., anche se per estensione è la seconda isola del Mediterraneo dopo la Sicilia che la supera di appena 1623 Kmq., gode rispetto a questa di maggiori vantaggi geografici ed ambientali; pertanto, almeno in un piano potenziale, e senz’altro superiore e quindi più importante di essa.
Fra questi vantaggi, a parte la presenza di un territorio che potenzialmente potrebbe essere molto più produttivo di quello siciliano, perchè geograficamente meglio conformato, costituzionalmente più fertile e ricco di varie risorse naturali (minerali, boschi, pascoli, ecc.) e soprattutto di risorse idriche, i più evidenti sono senz’altro il suo profilo costiero, che è notevolmente più esteso di quello della Sicilia, e l’altissima importanza della sua posizione al centro del Mediterraneo occidentale.
Quest’asserzione appare fuori discussione allorchè si rileva, in primo luogo, che la Sardegna ha come indice di marittimità il valore 3,36 che è maggiore non solo di quello della Sicilia ma anche di quello dell’intera penisola italiana; infatti, mentre le coste della Sardegna, comprese quelle delle sue isole minori, si estendono per ben 1896,8 km., costituendo circa un quinto dell’intera estensione delle coste della penisola italiana (9000 km.) quelle della Sicilia, con quelle delle sue isole minori, sono lunghe soltanto 1115 Km.
La nostra asserzione risulta ancora più fuori discussione quando si riscontra che la Sicilia, pur distando appena 4 km dall’Italia e 140 Km. dalle coste africane, occupa comunque una posizione geografica decentrata rispetto all’Europa; mentre, invece, la Sardegna, posta al centro del settore occidentale del bacino del Mediterraneo, fra 38o51’52" e i 41o5’42" di latitudine nord e fra 8o81' e 9o50' di longitudine est, costituisce il ponte principale fra l’Europa Occidentale ed il continente africano; essa è quindi dotata di una centralità geografica di alta importanza strategica non solo sul piano militare, ma soprattutto sul piano economico.
Questa importanza appare subito molto evidente quando si constata che la Sardegna può agevolmente controllare tutte le vie di comunicazione mediterranee che collegano biunivocamente lo stretto di Gibilterra con il Canale di Suez, così come naturalmente può controllare quelle che raccordano tutto l’occidente europeo con l’Africa settentrionale.
Tale importanza d’altronde è stata ben rimarcata dalle osservazioni obiettive di molti geografi, storiografi e cronisti di tutte le epoche anteriori a quella in cui la Sardegna è stata assoggettata ai condizionamenti politici, economici, culturali e persino religiosi che le sono stati imposti con esplicita o subdola violenza prima dal governo di Torino e poi da quello di Roma.
Fra queste osservazioni c’è da citare quella di G. Fara ( De Chorographia Sardiniae - 1586 ):
" Sta la Sardegna nel mezzo del mare Mediterraneo come rifugio, porto e protezione di tutti coloro che navigano da Oriente a Ponente, da Settentrione a Mezzogiorno; come già detto da Claudiano questa favorevole posizione più della sua nota fertilità è stata la causa per cui l’Isola è stata appetita da tutte le nazioni ..................."
Essa viene rimarcata più tardi, nel 1714, anche da V. Bacallar in un suo libretto, intitolato "La Sardaigne paranynphe de la paix aux souverains de l’Europe", allorchè sottolinea i grandi vantaggi marittimi, strategici e commerciali che offre l’Isola con la sua fertilità, con la sua abbondante pesca e con i suoi porti sicuri dai venti e dalle tempeste.
Tale importanza strategica appare evidente considerando che le coste sarde, per quel certo parallelismo da cui sono caratterizzate, sono rivolte direttamente verso un numero di regioni maggiore di quello delle regioni a cui si rivolgono quelle della Sicilia; esse, infatti, si affacciano direttamente ad Oriente verso l’Italia, a settentrione verso la vicina Corsica e la Francia, ad occidente verso la Spagna e a Meridione verso la Tunisia e L’Algeria.
Le distanze della Sardegna dalla Corsica, dalla Francia, dalla Spagna, dalla Tunisia e dall’Algeria sono di gran lunga più brevi da quelle di tutte le regioni marittime della penisola italiana; ciò con l’eccezione della distanza della Sicilia dalla Tunisia e di quella della Liguria dalla Francia; la loro entità è tutt’altro che elevata poichè oscillano, in linea d’aria, dai 178 Km. che separano l’isola dall’Africa ad un massimo che non oltrepassa i 500 Km. dalla Spagna e dalla Francia; distanze che con le moderne motonavi possono essere percorse, in normali condizioni di mare e di tempo, rispettivamente in circa 6,30 ed in 18 ore.
Pertanto le possibilità naturali che la Sardegna ha di comunicare via mare e quindi anche via aerea, con l’occidente europeo mediterraneo, con il Nord Africa e quindi anche con le stesse propaggini atlantiche dell’Europa meridionale e dell’Africa, risultano senz’altro, più agevoli di quelle pertinenti alla sola Sicilia o all’intera penisola Italiana.
Escludendo quindi l’estensione delle coste Sarde e la stessa posizione geografica dell’Isola, resta da verificare se le presunte scarse attitudini marittime della Sardegna possano, eventualmente, essere fondate su un globale stato negativo della morfologia delle sue coste e della fascia marina da cui esse sono circondate.
Allorchè si analizza dettagliatamente lo stato geomorfologico delle coste sarde appare subito evidente che questo, anche se non è ottimale al cento per cento, è ben lungi dal presentare un grado di negatività naturale tale da poter appena giustificare, in qualsiasi modo possibile, l’asserzione che la Sardegna ha scarse attitudini marinare.
La scarsità delle attitudini marinare di un profilo costiero è solitamente data in primo luogo dalla carenza di validi e sicuri approdi; ossia da tratti di costa, più o meno facilmente accessibili oltre che dal mare anche dall’entroterra, dove i mezzi nautici possano attraccare per rifornirsi, per sbarcare od imbarcare passeggeri e merci e dove possano permanere ancorati temporaneamente in uno specchio d’acqua, riparato da ogni avversità del mare aperto, per effettuare la loro manutenzione ordinaria.
Il giudizio sulle coste sarde che viene espresso nell’insegnamento universitario isolano è tutt’altro che lusinghiero, perchè ad esempio la docente A.Terrosu Asole ha testualmente scritto (*):
Ma le coste sarde, per lo più impervie, rocciose ed aperte ai venti ed all’ondazione, sono povere di buoni porti.
Tuttavia è doveroso osservare che questo giudizio risulta tutt’altro che obiettivo considerando che la maggior parte dei porti più importanti presenti nelle coste della penisola italiana, come ad esempio quelli di Genova, Livorno, Savona, Civitavecchia e Venezia sono tutti artificiali; sono cioè porti che sono stati ricavati con opportuni lavori di sterro e con opere costruttive finalizzate a riparare uno specchio d’acqua dalle furie del mare aperto.
Sono parimenti del tutto o in buona parte artificiali tutti i porti della Sicilia tranne quello di Messina.
Così ad esempio, il porto di Genova che per ordine di importanza è il primo in Italia ed il secondo nel Mediterraneo, dopo quello di Marsiglia, presenta delle condizioni naturali molto meno favorevoli di quelle che presentano in genere i piccoli porti della Sardegna, malgrado ciò esso dal Medioevo in poi ha subito un grande sviluppo, che come quello di numerosi altri porti italiani di una certa importanza è stato contrassegnato da un complesso di opere artificiali che sopperiscono alla mancanza di vari requisiti naturali; infatti il porto di Genova attualmente appare protetto da oltre 10 chilometri di dighe e da decine di muri di sponda.
Si deve inoltre tenere presente che lo sviluppo di questo porto è stato essenzialmente determinato dalla sua posizione favorevole rispetto all’entroterra, poichè a tutti gli effetti la sua funzione principale è stata quella di costituire lo sbocco o porta sul mare dell’economia del Piemonte e della Lombardia.
Parimenti in Toscana il porto di Livorno fu integralmente creato artificialmente dai Medici quando il porto di Pisa andò via via interrandosi e venne successivamente ampliato dai granduchi di Lorena proprio per dare uno sbocco sul mare principalmente alla produttività economica non solo di Firenze, ma anche di tutta la regione.
Per contro la Calabria, anche se è bagnata, oltre che dal Tirreno anche dallo Ionio, presenta dei porti che addirittura sono meno numerosi ed importanti di quelli della Sardegna, perchè è stata vincolata in un maggiore stato di economia chiusa e di sottosviluppo culturale.
Conseguentemente si deve desumere che l’importanza marinara di una zona costiera più che alla sua conformazione od alle sue stesse attitudini marinare è dovuta principalmente alle possibilità economiche della regione geografica che esse delimitano ed al livello culturale della sua popolazione; infatti le struttura produttiva dell’entroterra ed il grado di imprenditorialità della gente che lo abita costituiscono i fattori che influenzano in maniera decisiva in ogni luogo la localizzazione e lo sviluppo dei porti.
L’analisi dettagliata ed obiettiva della conformazione del contorno marittimo della Sardegna ci rivela comunque che essa, anche se in linea di massima non è del tutto ottimale, specie nel versante orientale per il prevalere delle coste alte, sotto numerosi punti di vista è molto migliore di quella che presentano le coste non solo della Liguria, ma anche di altre regioni italiane che vantano una tradizione marinara di una certa importanza.
A questo proposito si osserva innanzitutto che il contorno marittimo sardo è tutt’altro che carente di buoni porti.
L’isola, infatti, lungi dal presentare un tipo uniforme di contorno marittimo, alternando coste alte a coste basse talvolta sabbiose che si presentano oltretutto talvolta con andamento curvo mosso e talvolta con andamento diritto, è ricca di luoghi che sono facilmente accessibili dal mare e riparati dalle sue furie quando questo è grosso.
Pertanto i porti sardi anche, se non presentano dimensioni così notevoli ed infrastrutture importanti come quelle dei maggiori porti italiani, godono quasi tutti di ben più favorevoli requisiti naturali; infatti sia i principali porti sardi di Cagliari, Porto Torres ed Olbia, sia quelli secondari di Alghero, Bosa, S.Antioco ed Arbatax sono tutti di origine naturale; ossia sorgono in golfi, insenature o rade che per la loro conformazione sono predisposte allo scopo e quindi hanno richiesto un limitato intervento dell’uomo.
Si deve inoltre considerare che in particolare i porti di Cagliari e di Olbia, sin dall’antichità, sono sempre stati fra i più sicuri del Mediterraneo, poichè sono inseriti, rispettivamente nelle tranquille rade del Golfo degli Angeli e del Golfo Aranci, dove, solitamente, in caso di tempesta, le navi, in transito presso le loro coste, trovano un ideale rifugio per ripararsi dalle furie travolgenti del mare aperto.
Oltre che questi porti principali sono naturali in Sardegna anche vari porti secondari; cos,ì ad esempio, la grande rada racchiusa fra Capo Caccia e la Punta del Giglio, a Nord Ovest di Alghero, costituisce il magnifico porto naturale di Porto Conte.
Parimenti è naturale anche il porto di Bosa che appare ben protetto dai venti entro la foce del fiume Temo.
D’altro canto si deve anche tenere conto che le molte coste isolane ed in particolare quelle della Gallura risultano naturalmente dotate di rias le quali, essendo delle antiche valli fluviali che sono state sommerse dal mare, costituiscono i presupposti geologici ottimali dei grandi e piccoli porti naturali.
Le rias sarde, infatti, anche se non presentano la notevole grandezza di quelle attlantiche, costituiscono comunque delle piccole e grandi insenature abbastanza riparate dai venti e, con i loro fondali poco accidentati e di discreta entità, si prestano in modo quasi ottimale per l’approdo del naviglio.
Tanto è vero che numerose rias sarde, come è attestato dalle loro denominazioni attuali, erano utilizzate nel passato come piccoli porti; fra questi vanno ricordati. Porto Longone (S.Teresa di Gallura), Porto Pozzo, Porto la Cruzitta, Porto S. Paolo, Porto Taverna, Porto Quato, Porto Piscinni, Porto Palmas, Porto Teulada, Porto Scudo, Porto Pedrosu, ecc.
Si deve anche aggiungere che anche lungo i tratti costieri più impervi della Sardegna, fra gli alti strapiombi a picco sul mare e le balze ricche di scogliere, si alternano, quasi regolarmente, delle insenature lunate riparate da promontori che presentano alti fondali sabbiosi privi del pericolo degli scogli, le quali costituiscono ottimi ancoraggi e ridossi sicuri.
Pertanto, appare del tutto ovvio che le presunte scarse attitudini marinare della Sardegna non possano di certo essere attribuite alle condizioni naturali della sua conformazione costiera, poichè questa appare tutt’altro che priva di agevoli e riparati approdi e di sicuri ancoraggi.
Tali scarse attitudini marinare non possono nemmeno essere giustificate dalle condizioni generali delle acque marine che circondano l’Isola poiché una loro analisi rivela infatti che esse non di certo risultano più pericolose di quelle della fascia marina che delimita la penisola iberica e quella italiana; fatto questo che appare più che evidente considerando che nelle stagioni avverse le furie del mare di solito flagellano molte coste di queste penisole in maniera molto più grave di quel che fanno in Sardegna.
Parimenti, non si può nemmeno affermare che questa presunta scarsa attitudine marinara della Sardegna possa essere attribuita ad altri gravi impedimenti naturali che ostacolino o rendano proibitiva una stabile presenza umana lungo le sue coste come ad esempio l’assenza di risorse necessarie indispensabili alla sopravvivenza umana o avverse condizioni climatiche.
Infatti, tutta la fascia litoranea della Sardegna, non solo registra la presenza quasi ovunque di acqua potabile e di vicine aree coltivabili, ma è anche frequentemente orlata da stagni o specchi lagunari particolarmente ricchi di fauna ittica; vi sono cioè presenti quei presupposti naturali che possono garantire la vita e l’attività di umana, specie nel settore peschereccio.
D’altro canto si riscontra anche che la fascia delle coste isolane gode di un clima molto favorevole alla vita umana poichè, conseguentemente alla posizione geografica, essa è influenzata dai caldi venti tropicali e da quelli occidentali che spesso si alleviano reciprocamente i rispettivi effetti climatici negativi.
Anche nel periodo freddo dell’anno spesso le masse d’aria fredda che provengono dalla Penisola Iberica, cosi come quelle che provengono dalla valle del Rodano o dall’Europa Orientale vengono mitigate da masse d’aria più calde provenienti dall’Africa.
Eseguendo un’analisi generale delle condizioni della fascia della mare sardo tenendo naturalmente conto di quelle metereologiche si deve innanzi tutto dire che essa insieme all’Isola che circonda è per la maggior parte dei giorni dell’anno è molto battuta dai venti; ciò, naturalmente, in tutte le epoche storiche del passato, cioè quando le navi navigavano a vela, ha notevolmente agevolato la navigazione, eccetto naturalmente nelle stagioni in cui sono più frequenti le gravi perturbazioni metereologiche.
Il vento, quindi, è il fattore più essenziale e caratteristico, sia delle coste, ma anche di tutto il territorio della Sardegna; esso vi è presente per la maggior parte dei giorni dell’anno perchè la posizione geografica dell’Isola si trova all’incrocio delle direzioni dei venti che soffiano, dall’Atlantico, dall’Europa e dall’Africa, verso le aree mediterranee di bassa pressione; pertanto nell’Isola si hanno con frequenza quasi regolare quelle situazioni eoliche e quindi climatiche che sono tipiche di tutto il Mediterraneo occidentale.
Infatti, anche se clima delle coste isolane ha come sua peculiarità la ventosità non si può senz’altro dire che esso sia unico poichè la stessa caratteristica si riscontra in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale, così, ad esempio i litorali della Toscana, della Campania e della Sicilia dove da secoli si è affermata una vivace attività marinara non sono di certo esenti da una forte ventosità, per cui non si può senz’altro affermare che essa posa essere la causa delle scarse attitudini marinare della Sardegna.
Di solito la frequenza di questi venti nell’Isola è molto regolare in tutte le stagioni così come in tutti i periodi è molto regolare anche la loro velocità perchè questa è sommariamente costante in tutti i mesi; le loro caratteristiche e gli effetti che essi determinano nel clima costiero e quindi sul mare sono pertanto prevedibili; ciò, quindi, lascia intuire come ciò specie nel passato abbia potuto favorire la navigazione.
Fra i venti isolani predomina quello di maestrale che con maggiore frequenza soffia nelle coste occidentali e meridionali e conseguentemente nel passato ha agevolato le comunicazioni della Sardegna con il Nord Africa e con la Penisola Iberica.
Le coste meridionali ed occidentali nell’inverno sono investite anche dal libeccio che vi porta mare tempestoso per la durata di non più di tre giorni.
Dopo il maestrale, altro vento che predomina in Sardegna è lo scirocco il quale si registra con maggiore frequenza alla fine dell’estate nelle coste meridionali ed orientali, dando luogo a caldo umido o a pioggia .
Nelle coste settentrionali, specie verso le Bocche di Bonifacio, si hanno invece con maggiore frequenza i venti di ponente e di levante.
In dipendenza da questi venti e dalle condizioni metereologiche lo stato del mare lungo le coste isolane varia da stagione a stagione e può, in linea di massima, essere definito ottimale per le attività marinare ad eccezione del periodo invernale quando solitamente si registrano le maggiori avversità del tempo.
Naturalmente, esso varia da costa a costa e, sempre in linea di massima, si può dire che nelle stagioni invernali e primaverili varia frequentemente da poco mosso ad agitato e raramente grosso nelle coste meridionali ed orientali, mentre in quelle settentrionali ed occidentali varia invece da mosso ad agitato e talvolta grosso.
D’estate, invece, lo stato del mare non è mai grosso in nessuna zona costiera della Sardegna; esso infatti appare ovunque calmo e poco mosso, eccetto nella costa nord dove talvolta è agitato.
In autunno lo stato del mare è solitamente poco mosso od agitato in tutte le coste dell’Isola ad eccezione di quelle settentrionali dove solitamente è grosso.
Le acque marine che circondano la Sardegna non sono, in genere, interessate da grandi movimenti poichè si registrano delle maree di piccola entità che oscillano da 30 a 9 cm. per cui la loro media lungo le coste è di appena 20 cm.
Anche le correnti marine che interessano il mare sardo non sono di notevole intensità ed hanno essenzialmente delle caratteristiche di deriva; in generale si riscontra che al largo delle coste è presente una corrente marina principale di superficie il cui andamento si svolge in direzione oraria tutto intorno all’Isola; essa è influenzata da costa a costa, dalle condizioni morfologiche dei fondali e dai venti predominanti che possono determinare delle deviazioni nella sua direzione.
La velocità di queste correnti, pertanto, varia da zona a zona ed in generale il suo minimo è di circa 2 miglia orarie, mentre il suo massimo può superare anche le 4 miglia, specie nelle Bocche di Bonifacio.
Dall’analisi delle condizioni del mare sardo appare, quindi, evidente che esse sono tali che, nel passato quando si navigava a remi o a vela, potevano rendere proibitiva la navigazione prevalentemente nel periodo invernale, mentre la agevolavano per larga parte del resto dell’anno, come d’altronde si verificava in qualsiasi altra parte del Mediterraneo.
Attualmente, con i mezzi moderni che vengono utilizzati nella navigazione, queste condizioni del mare difficilmente possono rendere proibitiva la navigazione anche nel periodo invernale; possono solo ostacolarla, in maniera più o meno pericolosa, non per tutta la stagione ma solo in limitati suoi periodi a seconda del tipo di naviglio utilizzato e del grado di avversità delle condizioni metereologiche ...........................................................................................................................................................................................................................

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